domenica 26 ottobre 2014
giovedì 22 maggio 2014
Parole svuotate di senso - tra successo, qualità e significatività
Parole svuotate di senso
Tra
successo, qualità e significatività
Non c’è
bisogno di scomodare il solito Hegel per ribadire che l’aumento smisurato di un
fenomeno ne altera le caratteristiche e la qualità. ‘E sotto gli occhi di tutti
l’avvenuta esplosione creativa planetaria spinta, anche, dai tanti aggeggi
tecnologici oggi disponibili, che, se da un lato costituisce un fattore positivo, dall’altro, contribuisce a rendere sempre più intricata la confusione che ribolle nel sistema dell’arte.
Delle migliaia
di aspiranti artisti, per limitarci alla sola Italia, che ogni anno si buttano
nella pugna con le strategie più
disparate (vedi qualche tipologia, brillantemente descritta da Luca Beatrice,
nel libro L’invenzione dell’artista come
star) tese a far conoscere il loro talento ai nuovi collezionisti,
mercanti, galleristi e presunti tali, a suon di eventi, fiere e similari,
soltanto un risicato numero riesce a consolidare la propria posizione e a collocarsi
nel mercato sempre più inflazionato. Nonostante questo duro passaggio, non si
può negare che mai, come in quest’epoca, sia stata data tanta attenzione agli emergenti e, non soltanto, per un
rinnovato ricambio generazionale. Non occorre anche, dimenticare come alle
nostre latitudini la meritocrazia risulta da sempre latitante. Questo spiega
anche la qualità media delle nostre scuole, accademie e delle sedi qualificate,
per fortuna salvate, da minoranze di docenti, la cui onestà e professionalità
non possono essere messe in discussione.
La
formazione è fondamentale in ogni settore e in questa specifica fase la
conoscenza assume un ruolo di primaria importanza. Ricordiamoci che il nostro è
un paese senza memoria e corrotto come nessun altro paese occidentale. In uno
scenario simile anche la parola “qualità”, a parte le poche famose eccellenze,
nella quotidianità, risulta sparita completamente o assume una connotazione
negativa. Per tornare all’argomento, è usata quando un autore, rifacendosi ad
un suo predecessore o a esperienze già trascorse, manifesta una scarsa
comprensione generale ed esprime un risultato di qualità inferiore. La storia della critica ci ha ampiamente
dimostrato di quanta poca stabilità abbia questo termine a livello
intersoggettivo con innumerevoli esempi di esperienze artistiche ignorate o
fraintese, che poi, in un momento successivo, con altre modalità di ricezione,
si sono rivelate proficue e ricche: grandi maestri di un tempo che sono
diventati minori e viceversa.
Le cose sono sempre più complesse di come, in
un primo tempo, appaiono.
Qualità e
successo non vanno, facilmente, a braccetto. Pensate a Cézanne, alle sue brutte
opere giovanili e a quanto impegno e fatica ha profuso in tutta la sua carriera
con l’incanto delle sue stupende opere che ci ha lasciato Come non citare la
sua affermazione: “Il lavoro che fa
realizzare un progresso nel proprio
mestiere è compenso sufficiente per l’incomprensione degli imbecilli”.
Ci si
domanda perché precludere, proprio all’artista, la rivendicazione di “libero
professionista”, tanto sudata e mai considerata pienamente, anche se, proprio
l’atto creativo, così a sé stante, è, fra le attività umane, quella più inutile
e la parola “arte” è diventata troppo generica e poco specifica?
E perché mai,
il nostro artista, non dovrebbe aspirare, come per tutte le altre professioni,
al successo? Verrebbe da dire: Chi non cerca il successo alzi la mano? Tutti e
dappertutto sono spinti a conquistare il successo, a migliorare la propria
esistenza, a diventare meno poveri, a prescindere dal loro grado di cultura.
Scalfari sostiene che la molla che spinge a inseguire il successo sia dovuta al
fatto di pensare che avendo successo si lascerà una traccia e si potrà essere
ricordati.
Io non credo
proprio che rincorrere il successo possa coincidere con la realizzazione di se
stessi che è la cosa cui ognuno di noi dovrebbe aspirare. Realizzare se stessi,
esclude in partenza ogni ingannevole spinta esterna a diventate quello che non
si è in grado di fare sulla base di modelli sociali che ci vengono rappresentati.
Secondo me, occorre recuperare qualche parola persa per strada, quali per
esempio onestà, l’onestà con se stessi, evitando
di puntare al consenso e al riconoscimento o alla furbizia di captare lo
spirito del momento per un piatto di lenticchie… Meglio rivolgersi ad esplorare
e sviluppare una propria più approfondita narrazione personale. Utilizzare la
parola “significatività”, in questo caso, esprime miglior senso concettuale
rispetto all’ingannevole utilizzo del termine qualità, riferendoci a quella
capacità generativa propria dell’opera di innescare altri processi pieni di
significati germinativi capaci di diventare motori d’impulsi verso lo sviluppo
della narrazione collettiva dell’arte.
E tutto ciò
con la piena consapevolezza dei rischi insiti, perché nulla è assicurato che
avvenga o non avvenga, hic et nunc o, mai
più. In quanto, come per la scienza - nell’evoluzione biologica il
patrimonio genetico di una determinata popolazione dipende in gran parte da
fattori casuali, mi riferisco alla deriva
genetica - così, anche per l’arte, esistono esperienze che in determinate condizioni
possono costituire una spinta generativa come pure non diventarlo mai.
Mario
Benedetto
Maggio, 2014 ( Pubblicato nel Blog Ricontemporaneo n 7)
martedì 29 aprile 2014
mercoledì 23 aprile 2014
QUALCOSA NON FUNZIONA - Non basta la creatività ci vuole anche coscienza critica (pubblicato su www.ricontemporaneo.org)
INTERVENTI
Un interventodiMarioBenedetto
SOMMARIO
RIFLESSIONI, POLEMICHE, PROPOSTE DI ARTE
CONTEMPORANEA
16 febbraio 2014 QUALCOSA NON FUNZIONA Non
basta la creatività, ci vuole anche coscienza criticaRestando nel tema proposto
da Seveso per questo numero, e senza evocare le gesta di quella spudorata
oligarchia finanziaria che monopolizza/inquina le menti e il mercato globale
dell’arte coi “prodotti tossici” dei soliti nomi di cui già tante volte abbiamo
discusso (basterà citare, uno per tutti, il paragone delle opere di Damien
Hirst ai sub-prime dell’arte mondiale fatto da Julian Spalding con un articolo
sull’Independent in occasione della grande retrospettiva dell’artista di
Bristol), vorrei analizzare il fenomeno in generale. Anche se un conto è
l’arte, un'altra cosa è il mercato, e un’altra ancora è la società, ma tutto è
interconnesso. Il problema è che siamo maledettamente bloccati in un paese che
ha smarrito e umiliato la propria monumentale ricchezza che è la cultura.
Cultura che non riesce a farsi rispettare e valorizzare (poiché sono sempre
quelli del “nuovo mondo” a imporci l’agenda, come già è avvenuto in settembre
2009) riuscendo a far entrare, come benessere immateriale, la creatività e l’innovazione
nei parametri del PIL che misurano la ricchezza di un paese.In quest’epoca
globalizzata, post-moderna, post-umana e post-tutto, siamo sommersi da continui
messaggi di ogni tipo e da immagini diffuse con sempre più sofisticati mezzi
tecnologici che non conoscono soste di evoluzione. Non ci si orienta più. Si
assiste ad una specie di esplosione di creatività in base alla quale chiunque,
sempre grazie a queste tecnologie, può produrre immagini a suo modo e maniera.
La moneta cattiva scaccia quella buona! Nel bene o nel male la tracimazione è
avvenuta. Siamo circondati, ma anche impreparati. Questo è il
punto! Hegel sosteneva che l’aumento quantitativo di un
fenomeno cambia anche la qualità stessa dell’oggetto in causa. Questa società
della velocità ama tempi brevi che non permettono approfondimenti, lascia
vedere quasi soltanto la superfice delle cose. Secondo la logica
dell’alternanza si aspetta un ritorno all’ordine anti-relativista. La cultura
ha bisogno di tempo e oggi il tempo è contratto e la cultura è insidiata e
mortificata. E’ diminuita la coscienza critica e si è imposta una creatività
sregolare ed autoreferenziale. Gli autori più abili a promuoversi sono riusciti
ad ottenere una canonizzazione ufficiale dal sistema. Chiunque, deresponsabilizzato,
può imporsi arrancando in questo mare aperto dove manca una seria “vigilanza”
sulla qualità. Termine alquanto ostico perché si basa su un “occhio” acquisito
attraverso anni e anni di frequentazioni e di pratica artistica, per cui
converrebbe parlare, meglio di significatività. E dunque che
succede? Come in alto mare: c’è chi galleggia e chi va a fondo. Per
chi non vuole cimentarsi con la faticosa costruzione di una solida base
accademica, il così detto Contemporaneo offre un accogliente rifugio a questa
pseudo creatività. Influiscono le tecniche e le strategie adoperate di chi
vuole stare a galla. E qui tocchiamo un punto debole: l’attuale sistema
dell’arte. La critica d’arte appare indebolita, vive nell’eterno dissidio tra
antagonismo e parità, piuttosto che assumere una veste di autorevolezza. Come
sostiene lo stesso James Elkins “c’e un’enorme produzione di critica d’arte, e
un’altrettanta enorme tendenza ad ignorarla”. Prevale molto spesso, come per
ogni altro settore, la sindrome del “Mollica, giornalista televisivo”, di tipo
promozionale, che punta alla creazione del consenso. In effetti sono molto
pochi quelli che sanno essere schietti e senza peli sulla lingua. C’è in corso,
infatti, un acceso dibattito sul valore della recensione negativa e le sue
“conseguenze nella vita reale” per il recensore ed il recensito. Molte
produzioni “artistiche” rappresentano una sfida alla concezione marxiana del
valore inteso come quantità di lavoro profuso nel bene economico-merce essendo
prive di qualsiasi abilità realizzativa. Che una tale opera, scambiata con del
denaro, acquisti lo status di opera d’arte è ingiurioso, e costiituisce una
vera e propria truffa alle persone. E se poi l’opera è contesa a suon di
milioni, fa notizia, ai giornali fa comodo e il cerchio si chiude. Non per
questo dovremmo gioire e omologarci a questo sistema. Se un individuo, un
artista, cerca onestamente se stesso, personalmente credo non possa venire
attratto dai falsi modelli proposti da una non-cultura al servizio di un potere
corrotto, incapace di avere una sana visione civile di progresso, prosperità e
giustizia. Alla fine sarà, il suo, un contributo di autentica libertà creativa,
anche perché l’obiettivo primario del suo lavoro non è diventato solo il
riconoscimento professionale, il successo personale...Occorre avere, sì, un
linguaggio legato al proprio tempo e in armonia con la propria natura,
esplorando e sviluppando una narrazione autonoma, ma senza scimmiottare,
riciclando qualcuno o qualcosa
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