giovedì 22 maggio 2014

Parole svuotate di senso - tra successo, qualità e significatività

Parole svuotate di senso
Tra successo, qualità e significatività

Non c’è bisogno di scomodare il solito Hegel per ribadire che l’aumento smisurato di un fenomeno ne altera le caratteristiche e la qualità. ‘E sotto gli occhi di tutti l’avvenuta esplosione creativa planetaria spinta, anche, dai tanti aggeggi tecnologici oggi disponibili, che, se da un lato costituisce un fattore positivo, dall’altro, contribuisce a rendere sempre più intricata la confusione che ribolle nel sistema dell’arte.
Delle migliaia di aspiranti artisti, per limitarci alla sola Italia, che ogni anno si buttano nella pugna con le strategie più disparate (vedi qualche tipologia, brillantemente descritta da Luca Beatrice, nel libro L’invenzione dell’artista come star) tese a far conoscere il loro talento ai nuovi collezionisti, mercanti, galleristi e presunti tali, a suon di eventi, fiere e similari, soltanto un risicato numero riesce a consolidare la propria posizione e a collocarsi nel mercato sempre più inflazionato. Nonostante questo duro passaggio, non si può negare che mai, come in quest’epoca, sia stata data tanta attenzione agli emergenti e, non soltanto, per un rinnovato ricambio generazionale. Non occorre anche, dimenticare come alle nostre latitudini la meritocrazia risulta da sempre latitante. Questo spiega anche la qualità media delle nostre scuole, accademie e delle sedi qualificate, per fortuna salvate, da minoranze di docenti, la cui onestà e professionalità non possono essere messe in discussione.
La formazione è fondamentale in ogni settore e in questa specifica fase la conoscenza assume un ruolo di primaria importanza. Ricordiamoci che il nostro è un paese senza memoria e corrotto come nessun altro paese occidentale. In uno scenario simile anche la parola “qualità”, a parte le poche famose eccellenze, nella quotidianità, risulta sparita completamente o assume una connotazione negativa. Per tornare all’argomento, è usata quando un autore, rifacendosi ad un suo predecessore o a esperienze già trascorse, manifesta una scarsa comprensione generale ed esprime un risultato di qualità inferiore. La storia della critica ci ha ampiamente dimostrato di quanta poca stabilità abbia questo termine a livello intersoggettivo con innumerevoli esempi di esperienze artistiche ignorate o fraintese, che poi, in un momento successivo, con altre modalità di ricezione, si sono rivelate proficue e ricche: grandi maestri di un tempo che sono diventati minori e viceversa.
 Le cose sono sempre più complesse di come, in un primo tempo, appaiono.
Qualità e successo non vanno, facilmente, a braccetto. Pensate a Cézanne, alle sue brutte opere giovanili e a quanto impegno e fatica ha profuso in tutta la sua carriera con l’incanto delle sue stupende opere che ci ha lasciato Come non citare la sua affermazione: “Il lavoro che fa realizzare un progresso nel proprio mestiere è compenso sufficiente per l’incomprensione degli imbecilli”.
Ci si domanda perché precludere, proprio all’artista, la rivendicazione di “libero professionista”, tanto sudata e mai considerata pienamente, anche se, proprio l’atto creativo, così a sé stante, è, fra le attività umane, quella più inutile e la parola “arte” è diventata troppo generica e poco specifica?
E perché mai, il nostro artista, non dovrebbe aspirare, come per tutte le altre professioni, al successo? Verrebbe da dire: Chi non cerca il successo alzi la mano? Tutti e dappertutto sono spinti a conquistare il successo, a migliorare la propria esistenza, a diventare meno poveri, a prescindere dal loro grado di cultura. Scalfari sostiene che la molla che spinge a inseguire il successo sia dovuta al fatto di pensare che avendo successo si lascerà una traccia e si potrà essere ricordati.
Io non credo proprio che rincorrere il successo possa coincidere con la realizzazione di se stessi che è la cosa cui ognuno di noi dovrebbe aspirare. Realizzare se stessi, esclude in partenza ogni ingannevole spinta esterna a diventate quello che non si è in grado di fare sulla base di modelli sociali che ci vengono rappresentati. Secondo me, occorre recuperare qualche parola persa per strada, quali per esempio onestà, l’onestà con se stessi, evitando di puntare al consenso e al riconoscimento o alla furbizia di captare lo spirito del momento per un piatto di lenticchie… Meglio rivolgersi ad esplorare e sviluppare una propria più approfondita narrazione personale. Utilizzare la parola “significatività”, in questo caso, esprime miglior senso concettuale rispetto all’ingannevole utilizzo del termine qualità, riferendoci a quella capacità generativa propria dell’opera di innescare altri processi pieni di significati germinativi capaci di diventare motori d’impulsi verso lo sviluppo della narrazione collettiva dell’arte.
E tutto ciò con la piena consapevolezza dei rischi insiti, perché nulla è assicurato che avvenga o non avvenga, hic et nunc o, mai più. In quanto, come per la scienza - nell’evoluzione biologica il patrimonio genetico di una determinata popolazione dipende in gran parte da fattori casuali, mi riferisco alla deriva genetica - così, anche per l’arte, esistono esperienze che in determinate condizioni possono costituire una spinta generativa come pure non diventarlo mai.

Mario Benedetto

Maggio, 2014 ( Pubblicato nel Blog Ricontemporaneo n 7)

mercoledì 23 aprile 2014

QUALCOSA NON FUNZIONA - Non basta la creatività ci vuole anche coscienza critica (pubblicato su www.ricontemporaneo.org)


INTERVENTI
Descrizione: http://www.ricontemporaneo.org/index_htm_files/11061.png
Un interventodiMarioBenedetto
SOMMARIO
  RIFLESSIONI, POLEMICHE, PROPOSTE DI ARTE CONTEMPORANEA                                                                     
16 febbraio 2014 QUALCOSA NON FUNZIONA  Non basta la creatività, ci vuole anche coscienza criticaRestando nel tema proposto da Seveso per questo numero, e senza evocare le gesta di quella spudorata oligarchia finanziaria che monopolizza/inquina le menti e il mercato globale dell’arte coi “prodotti tossici” dei soliti nomi di cui già tante volte abbiamo discusso (basterà citare, uno per tutti, il paragone delle opere di Damien Hirst ai sub-prime dell’arte mondiale fatto da Julian Spalding con un articolo sull’Independent in occasione della grande retrospettiva dell’artista di Bristol), vorrei analizzare il fenomeno in generale. Anche se un conto è l’arte, un'altra cosa è il mercato, e un’altra ancora è la società, ma tutto è interconnesso. Il problema è che siamo maledettamente bloccati in un paese che ha smarrito e umiliato la propria monumentale ricchezza che è la cultura. Cultura che non riesce a farsi rispettare e valorizzare (poiché sono sempre quelli del “nuovo mondo” a imporci l’agenda, come già è avvenuto in settembre 2009) riuscendo a far entrare, come benessere immateriale, la creatività e l’innovazione nei parametri del PIL che misurano la ricchezza di un paese.In quest’epoca globalizzata, post-moderna, post-umana e post-tutto, siamo sommersi da continui messaggi di ogni tipo e da immagini diffuse con sempre più sofisticati mezzi tecnologici che non conoscono soste di evoluzione. Non ci si orienta più. Si assiste ad una specie di esplosione di creatività in base alla quale chiunque, sempre grazie a queste tecnologie, può produrre immagini a suo modo e maniera. La moneta cattiva scaccia quella buona! Nel bene o nel male la tracimazione è avvenuta. Siamo circondati, ma anche impreparati. Questo è il punto!    Hegel sosteneva che l’aumento quantitativo di un fenomeno cambia anche la qualità stessa dell’oggetto in causa. Questa società della velocità ama tempi brevi che non permettono approfondimenti, lascia vedere quasi soltanto la superfice delle cose. Secondo la logica dell’alternanza si aspetta un ritorno all’ordine anti-relativista. La cultura ha bisogno di tempo e oggi il tempo è contratto e la cultura è insidiata e mortificata. E’ diminuita la coscienza critica e si è imposta una creatività sregolare ed autoreferenziale. Gli autori più abili a promuoversi sono riusciti ad ottenere una canonizzazione ufficiale dal sistema. Chiunque, deresponsabilizzato, può imporsi arrancando in questo mare aperto dove manca una seria “vigilanza” sulla qualità. Termine alquanto ostico perché si basa su un “occhio” acquisito attraverso anni e anni di frequentazioni e di pratica artistica, per cui converrebbe parlare, meglio di significatività. E dunque che succede?   Come in alto mare: c’è chi galleggia e chi va a fondo. Per chi non vuole cimentarsi con la faticosa costruzione di una solida base accademica, il così detto Contemporaneo offre un accogliente rifugio a questa pseudo creatività. Influiscono le tecniche e le strategie adoperate di chi vuole stare a galla. E qui tocchiamo un punto debole: l’attuale sistema dell’arte. La critica d’arte appare indebolita, vive nell’eterno dissidio tra antagonismo e parità, piuttosto che assumere una veste di autorevolezza. Come sostiene lo stesso James Elkins “c’e un’enorme produzione di critica d’arte, e un’altrettanta enorme tendenza ad ignorarla”. Prevale molto spesso, come per ogni altro settore, la sindrome del “Mollica, giornalista televisivo”, di tipo promozionale, che punta alla creazione del consenso. In effetti sono molto pochi quelli che sanno essere schietti e senza peli sulla lingua. C’è in corso, infatti, un acceso dibattito sul valore della recensione negativa e le sue “conseguenze nella vita reale” per il recensore ed il recensito. Molte produzioni “artistiche” rappresentano una sfida alla concezione marxiana del valore inteso come quantità di lavoro profuso nel bene economico-merce essendo prive di qualsiasi abilità realizzativa. Che una tale opera, scambiata con del denaro, acquisti lo status di opera d’arte è ingiurioso, e costiituisce una vera e propria truffa alle persone. E se poi l’opera è contesa a suon di milioni, fa notizia, ai giornali fa comodo e il cerchio si chiude. Non per questo dovremmo  gioire e omologarci a questo sistema. Se un individuo, un artista, cerca onestamente se stesso, personalmente credo non possa venire attratto dai falsi modelli proposti da una non-cultura al servizio di un potere corrotto, incapace di avere una sana visione civile di progresso, prosperità e giustizia. Alla fine sarà, il suo, un contributo di autentica libertà creativa, anche perché l’obiettivo primario del suo lavoro non è diventato solo il riconoscimento professionale, il successo personale...Occorre avere, sì, un linguaggio legato al proprio tempo e in armonia con la propria natura, esplorando e sviluppando una narrazione autonoma, ma senza scimmiottare, riciclando qualcuno o qualcosa