Parole svuotate di senso
Tra
successo, qualità e significatività
Non c’è
bisogno di scomodare il solito Hegel per ribadire che l’aumento smisurato di un
fenomeno ne altera le caratteristiche e la qualità. ‘E sotto gli occhi di tutti
l’avvenuta esplosione creativa planetaria spinta, anche, dai tanti aggeggi
tecnologici oggi disponibili, che, se da un lato costituisce un fattore positivo, dall’altro, contribuisce a rendere sempre più intricata la confusione che ribolle nel sistema dell’arte.
Delle migliaia
di aspiranti artisti, per limitarci alla sola Italia, che ogni anno si buttano
nella pugna con le strategie più
disparate (vedi qualche tipologia, brillantemente descritta da Luca Beatrice,
nel libro L’invenzione dell’artista come
star) tese a far conoscere il loro talento ai nuovi collezionisti,
mercanti, galleristi e presunti tali, a suon di eventi, fiere e similari,
soltanto un risicato numero riesce a consolidare la propria posizione e a collocarsi
nel mercato sempre più inflazionato. Nonostante questo duro passaggio, non si
può negare che mai, come in quest’epoca, sia stata data tanta attenzione agli emergenti e, non soltanto, per un
rinnovato ricambio generazionale. Non occorre anche, dimenticare come alle
nostre latitudini la meritocrazia risulta da sempre latitante. Questo spiega
anche la qualità media delle nostre scuole, accademie e delle sedi qualificate,
per fortuna salvate, da minoranze di docenti, la cui onestà e professionalità
non possono essere messe in discussione.
La
formazione è fondamentale in ogni settore e in questa specifica fase la
conoscenza assume un ruolo di primaria importanza. Ricordiamoci che il nostro è
un paese senza memoria e corrotto come nessun altro paese occidentale. In uno
scenario simile anche la parola “qualità”, a parte le poche famose eccellenze,
nella quotidianità, risulta sparita completamente o assume una connotazione
negativa. Per tornare all’argomento, è usata quando un autore, rifacendosi ad
un suo predecessore o a esperienze già trascorse, manifesta una scarsa
comprensione generale ed esprime un risultato di qualità inferiore. La storia della critica ci ha ampiamente
dimostrato di quanta poca stabilità abbia questo termine a livello
intersoggettivo con innumerevoli esempi di esperienze artistiche ignorate o
fraintese, che poi, in un momento successivo, con altre modalità di ricezione,
si sono rivelate proficue e ricche: grandi maestri di un tempo che sono
diventati minori e viceversa.
Le cose sono sempre più complesse di come, in
un primo tempo, appaiono.
Qualità e
successo non vanno, facilmente, a braccetto. Pensate a Cézanne, alle sue brutte
opere giovanili e a quanto impegno e fatica ha profuso in tutta la sua carriera
con l’incanto delle sue stupende opere che ci ha lasciato Come non citare la
sua affermazione: “Il lavoro che fa
realizzare un progresso nel proprio
mestiere è compenso sufficiente per l’incomprensione degli imbecilli”.
Ci si
domanda perché precludere, proprio all’artista, la rivendicazione di “libero
professionista”, tanto sudata e mai considerata pienamente, anche se, proprio
l’atto creativo, così a sé stante, è, fra le attività umane, quella più inutile
e la parola “arte” è diventata troppo generica e poco specifica?
E perché mai,
il nostro artista, non dovrebbe aspirare, come per tutte le altre professioni,
al successo? Verrebbe da dire: Chi non cerca il successo alzi la mano? Tutti e
dappertutto sono spinti a conquistare il successo, a migliorare la propria
esistenza, a diventare meno poveri, a prescindere dal loro grado di cultura.
Scalfari sostiene che la molla che spinge a inseguire il successo sia dovuta al
fatto di pensare che avendo successo si lascerà una traccia e si potrà essere
ricordati.
Io non credo
proprio che rincorrere il successo possa coincidere con la realizzazione di se
stessi che è la cosa cui ognuno di noi dovrebbe aspirare. Realizzare se stessi,
esclude in partenza ogni ingannevole spinta esterna a diventate quello che non
si è in grado di fare sulla base di modelli sociali che ci vengono rappresentati.
Secondo me, occorre recuperare qualche parola persa per strada, quali per
esempio onestà, l’onestà con se stessi, evitando
di puntare al consenso e al riconoscimento o alla furbizia di captare lo
spirito del momento per un piatto di lenticchie… Meglio rivolgersi ad esplorare
e sviluppare una propria più approfondita narrazione personale. Utilizzare la
parola “significatività”, in questo caso, esprime miglior senso concettuale
rispetto all’ingannevole utilizzo del termine qualità, riferendoci a quella
capacità generativa propria dell’opera di innescare altri processi pieni di
significati germinativi capaci di diventare motori d’impulsi verso lo sviluppo
della narrazione collettiva dell’arte.
E tutto ciò
con la piena consapevolezza dei rischi insiti, perché nulla è assicurato che
avvenga o non avvenga, hic et nunc o, mai
più. In quanto, come per la scienza - nell’evoluzione biologica il
patrimonio genetico di una determinata popolazione dipende in gran parte da
fattori casuali, mi riferisco alla deriva
genetica - così, anche per l’arte, esistono esperienze che in determinate condizioni
possono costituire una spinta generativa come pure non diventarlo mai.
Mario
Benedetto
Maggio, 2014 ( Pubblicato nel Blog Ricontemporaneo n 7)