L’INCISIONE
Che cosa
rappresenti per me questa forma di linguaggio, o questa pratica, che dir si
voglia, non è cosa semplice da trattare. Un legame di vecchia data mi tiene
come abbarbicato a questa tecnica. Da
piccolo, la mia prima monografia è stata Rembrandt, i libri d’arte, sempre
pochi, delle biblioteche, visionati a più riprese, surrogavano le mancanti
visite a mostre e musei assenti, anche se la sede del mio Liceo era collocata
all’interno dell’edificio del Museo stesso (Museo Nazionale della Magna Grecia
di Reggio Calabria). Tutte questi e altri motivi costituiscono gli elementi
essenziali per il mio viatico nel mondo dell’arte. La predilezione per il senso
plastico, per i forti contrasti, per le luci e le ombre ben marcate, per il
bianco e nero e, quindi, l’inchiostro di china, ha spianato, poi, la strada per
entrare in quella raffinata e iniziatica
coorte di facitori d’arte che è
l’incisione. L’idea che il piacere unico nutrito, incidendo quasi il bianco
del foglio, col pennino premuto fino a schiattare
e che prosciugandosi consegnava quei segni neri decisi, vibrati con rapidi
gesti e mossi da un senso o sentimento traboccante, potesse moltiplicarsi, mi
rapiva. Occorreva passare all’elaborazione di una matrice. Poter incidere,
finalmente, il metallo e affrontare tutte quelle diverse operazioni necessarie
alla calcografia, per poi, dopo il loro susseguirsi faticoso, trepidare al
primo passaggio della lastra nel giro dei cilindri, e poterne valutare il
risultato ottenuto su carta, era diventato un mio bisogno primario. Non è
facile! Inibire il gesto e il vigore di un segno. Occorreva, per quel gesto,
armarsi d’infinita e paziente dolcezza, delegando all’acido il compito di
scavare e ricavare il segno voluto stabilendone i tempi d’immersione, con un’immedesimazione
quasi corporale con esso. Mi vengono in mente le lunghe notti passate a
eseguire prove e tirature, a ripetere gesti dopo gesti, tra le mie povere cose,
lontano dal mondo, lontano da tutto. Alla fine, saturo marcio d’inchiostro, di
solventi e di fatica, qualche volta, compensato da un buon risultato, altre,
invece, incazzato nero ma pronto, ugualmente, a rincorrere quella grazia illuminante, sfuggita dalle mani
furtivamente. Che l’arte, quella vera, sia un’attività umana che non mira al
profitto, e che non asseconda le mode, è risaputo. Essa ubbidisce e segue
soltanto un suo ordine interno. L’incisione rappresenta la sua parte più intima
e riservata.
26 Aprile
2013 - Mario Benedetto
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Continua,
in seguito. -
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